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Mood Indigo - La schiuma dei giorni - Recensione

14/09/2013 | Recensioni |
Mood Indigo - La schiuma dei giorni - Recensione

Dopo “L’arte del sogno”, Michel Gondry ritorna sugli schermi con ancora tanta voglia di stupire, affascinare e meravigliare lo spettatore, in un film che è inno all’amore e ai colori, ma che in un batter d’occhio, malinconicamente, li sa anche annientare.

Colin (Roman Duris), facoltoso parigino, si innamora della graziosa Chloé (Audrey Tautou), quella che secondo lui rappresenta l’incarnazione di una canzone del jazzista Duke Ellington. I due si sposano, ma durante la luna di miele una ninfea inizia a crescere nei polmoni della ragazza, mettendola in serio pericolo. L'unico modo per mantenerla in vita è circondarla di fiori freschi e l'uomo, disposto a tutto pur di salvarla, a poco a poco si impoverirà.

Dolce e nel contempo tragico, Mood Indigo – La schiuma dei sogni, è parabola discendente dell’esistenza. L’enorme allegria che sprigiona all’inizio, così come i colori che illuminano le giornate di Colin e Chloé, vengono assopiti pian piano, ingrigendo la pellicola e riducendo tutto ad un soffio di vita.

Le note spavalde del jazz di Ellington trascinano lo spettatore in un mondo magico, surreale, a tratti inverosimile, mantenendo però un clima di verità e verosimiglianza soprattutto per quanto riguarda gli affetti. Realtà e fantasia camminano a piè pari, interagendo fra loro (memorabili le scene in cui il maggiordomo di Colin, interpretato da Omar Sy, interagisce con un cuoco presente in tv), mantenendo ancorata a sé la storia d’amore e dolore, raccontata.

La creatività e complessità visiva che contraddistingue la pellicola e il romanzo di Boris Vian, dal quale è tratto, viene perfettamente trasferita nel mondo reale ed irreale rappresentato, così come nel personaggio di Colin e Chloé, una Audrey Tautou eterna bambina, ancora immersa ne “Il favoloso mondo di Amélie”.

Come in precedenza accennato però, il film può essere considerato come una parabola in discesa. Il punto di non ritorno è rappresentato dall’improvvisa malattia che colpisce Chloé e che si trasferisce e penetra all’interno della casa di Colin: colorata, spaziosa e pulita, a poco a poco si rimpicciolisce, si riempie di erba, fiori e ragnatele. Così fa anche la pellicola stessa, che si riduce ad un mero bianco e nero.

Ne risentono anche le finanze e i gli amici di sempre di Colin, che sembrano consumarsi rapidamente: il maggiordomo Nicolas invecchia tutto ad un tratto e il professore Chick (Gad Elmaleh) è sempre più fissato con il filosofo Jean-Sol Partre, diventato per lui un’ossessione.

Allegria, colori, malinconia e bianco e nero, elementi portanti della pellicola, riflettono su se stessi, contagiano i personaggi e il film in sé; ciò che rimane allo spettatore è la possibilità di godere di questa magica storia, poetica, assurdamente variopinta e fantasiosamente costruita (il regista ha usato la stop-motion), ma nonostante tutto emozionante, come pochi sapranno apprezzare.

Alice Bianco

 


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