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Questione di tempo - Recensione

06/11/2013 | Recensioni |
Questione di tempo - Recensione

A spasso nel tempo, ancora una volta. L’espediente dei viaggi temporali, tra passato e futuro, è da sempre un “trucchetto” molto sfruttato dal cinema. Ma qui non c’è nulla dei tanti viaggi fantascientifici con cui la settima arte ha fatto girare la testa allo spettatore. Questa volta, presi per mano dal regista inglese (ma neozelandese di nascita) Richard Curtis (inventore di Mr. Bean, talentuoso sceneggiatore di commedie come Quattro matrimoni e un funerale e Notting Hill nonché regista dell’indimenticabile gemma natalizia Love Actually – L’amore davvero) si viaggia “in piccolo”.
Novello viaggiatore temporale è Tim (Domhnall Gleeson) un ragazzo inglese che all’età di 21 anni scopre, da una confessione del padre (Bill Nighy), di avere il dono di poter viaggiare nel tempo. Tim non può andare molto indietro nel tempo, non può quindi trasformare la storia ma può cambiare quello che accade nella sua vita. Per questo decide di renderla migliore trovandosi una ragazza. Trasferitosi dalla costa della Cornovaglia a Londra per fare il tirocinio come avvocato, Tim conosce per caso la bella ma insicura Mary (Rachel McAdams). I due si innamorano, ma uno sfortunato incidente legato a un viaggio nel tempo fa si che lui non l’abbia mai conosciuta e che lei sia fidanzata con un altro. A questo punto Tim fa una serie di tattici viaggi nel tempo per conquistarla. Ma non basta, al giovane servono altri viaggetti temporali per creare la perfetta proposta di matrimonio, per far riuscire le sue nozze salvandole dai peggiori discorsi del testimone dello sposo e per evitare al suo migliore amico una catastrofe professionale. Mentre la sua vita va avanti, Tim scopre che il suo raro dono non può risparmiargli le sofferenze e gli alti e bassi che vivono tutte le famiglie del mondo.  
Una precisazione d’obbligo: i viaggi nel tempo qui hanno poco o nulla di fantastico ma sono serviti a uso e consumo della classica commedia sentimentale dai toni agrodolci. Eh già, perché Richard Curtis, scrittore prima che regista dal tratto squisitamente ‘british’, mette in scena, attraverso la crescita interiore di un giovanotto inglese, un messaggio chiaro e semplice: l’invito eternamente valido a gustare ogni giorno, ogni ora, ogni minuto che ci è dato vivere su questa terra, come se fosse l’ultimo, impegnandoci al massimo per le persone e i legami cui teniamo davvero. 
La strada percorsa dal film per arrivare alla morale del ‘carpe diem’, più divertente nella prima parte, più malinconica nella seconda, è quella del romanzo di formazione del giovane “pel di carota” protagonista. Ma la pellicola, seppur ben scritta e ottimamente recitata, non è esente dal rischio di qualche lungaggine di troppo che finisce per rendere poco snella la narrazione.
E qui interviene il talento narrativo di Curtis che mostra di avere ancora molti colpi in canna per costellare la romantica storia di Tim e Mary di molti dei suoi tipici inconfondibili tocchi: l’ambientazione dal forte sapore britannico (una Londra mostrata nel suo lato migliore e una Cornovaglia dai paesaggi di charme), la coppia di innamorati composta da una lei americana e da un lui ‘english’ fino al midollo (vedere Hugh Grant e Andie MacDowell e ancora Grant e Julia Roberts nelle celebri commedie di cui Curtis è stato sceneggiatore), le figure di sorelle troppo naïf per non cadere nelle pene d’amore (come dimenticare le sorelle sfigate e bruttine di Quattro matrimoni e un funerale e Notting Hill?). Come valore aggiunto, a scacciare di colpo il rischio noia che può intervenire verso la fine del film, quel talento da purosangue della recitazione che risponde al nome di Bill Nighy, un grande attore che Curtis ha avuto il merito di rivelare al pubblico grazie all’indimenticabile vecchia rockstar interpretata in Love Actually e che ha saputo valorizzare di nuovo in I Love Radio Rock. Il personaggio del papà del giovane Tim, uomo gentile e pacato ma allo stesso tempo forte e carismatico, simbolo di una storia familiare da conservare, è il vero punto saldo del racconto. E la memoria dei veri affetti, la memoria come dono più prezioso per le generazioni future, diventa la forza propellente di un film altrimenti scialbo nella sua zuccherosa deriva romantico-drammatica, permettendo al regista di superare l’inciampo della tentazione all’autocitazione finale a suon di baci e abbracci.
In chiusura una piccola chicca da segnalare: gustatevi fino all’ultima nota la scena del matrimonio, con sposa in rosso e uragano che solleva gonne e tendoni da party, accompagnato dalle indimenticabili note de “Il mondo” di Jimmy Fontana.
D’altronde Curtis, di matrimoni, più che di funerali, se ne intende parecchio.

Elena Bartoni
 

 


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