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Incontro con Park Chan-wook al Festival di Roma

18/10/2014 | News
Incontro con Park Chan-wook al Festival di Roma

Intervenuto al Festival del Cinema di Roma per presentare il suo nuovo cortometraggio, A Rose Reborn, il grande regista coreano Park Chan-wook ha presenziato ad un incontro con la stampa ed il pubblico. Ne riportiamo alcuni passaggi.

I grandi registi riescono a rimanere se stessi senza ripetersi. Come è stata la sua collaborazione col gruppo Zegna, e come è riuscito a far penetrare il suo cinema in un contesto come quello dell’alta moda, riuscendo a rimanere fedele a se stesso? E’ un risultato di notevole equilibrio.
Inizialmente pensavo di realizzare un film con rapimenti e uccisioni. Le persone intorno a me mi hanno fatto cambiare idea. Il mondo dell’alta moda è per me sconosciuto, lontano dalla mia sensibilità. Ho avuto però una conversazione con Angelo Pilotti e sono riuscito a comprendere anche questo mondo. C’è un discorso sulla necessità di presentare  una nuova era e una elite con un nuovo aspetto. Mi hanno lasciato tutta la libertà necessaria per girarlo.

Nei suoi film, pensiamo alla “Trilogia della vendetta”, l’uomo è buono. E’ la società a spingerlo verso scelte violente. E’ come se in questo caso, per la prima volta, la società lo portasse ad esprimere il meglio che ha dentro.
Il protagonista è un uomo che vive imprigionato nel proprio mondo, conosce solo la sua tecnologia. Mr. Lu è la sua guida spirituale, consente a Stephen di uscire dal suo mondo e di aprirsi alle altre persone. Lu è dei due quello che vuole usare il proprio denaro per creare un mondo migliore.  Se lo paragoniamo ad altri miei film rivela il lato migliore della natura umana.

Nella storia italiana il bello è al centro di un ideale di trasformazione del mondo. Il film ha colto questo carattere tipico della cultura italiana. I protagonisti compiono questo viaggio e alla fine si conoscono grazie al bello.
In effetti ho realizzato questo film legato al concetto di estetica perché girato per una casa di alta moda, ma io ho voluto esprimere quello che è per me l’ideale della bellezza. L’inizio si basa su pochi momenti incentrati sulla circolarità. Dalla forma tondeggiante dell’uovo si passa al manichino, poi alla lampada, quindi l’uovo che dà vita alla rosa.

Negli ultimi tempi si è intensificato l’intreccio tra produzioni coreane e statunitensi. Cosa ne pensa di questo avvicinamento, e quali sono secondo lei vantaggi e svantaggi nel partecipare a una produzione americana?
Non solo io, ma anche altri colleghi hanno iniziato a lavorare con gli americani. In questo processo ho imparato molto, a  volte ho pensato che certi aspetti del sistema produttivo coreano fossero migliori. Penso comunque sia positivo per il futuro, anche per le nuove generazioni, aprirsi ad un cinema non esclusivamente coreano. Riguardo a vantaggi e svantaggi, ritengo che nel cinema americano produzione e planning prendano troppo tempo, mentre in Corea è la post-produzione a prenderne troppo.

Ha girato questo film in Italia. C’è qualcosa dell’Italia che l’ha colpita e vorrebbe riutilizzare nei suoi prossimi film?
Il film è ambientato in varie città ma è girato per la maggior parte a Milano, dove risiedo spesso per lavoro. Mi piacerebbe tornare in Italia per girare un film più lungo, sarebbe bellissimo.

 


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