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Unbroken - Recensione

28/01/2015 | Recensioni |
Unbroken - Recensione

Una storia vera di coraggio e speranza. Per la sua seconda prova come regista, Angelina Jolie ha voluto con tutte le sue forze portare sul grande schermo la vicenda esemplare di una figura entrata nel mito, l’eroe olimpionico e di guerra Louis ‘Louie’ Zamperini.
Figlio più giovane di una coppia di immigrati italiani, Louis trascorre la giovinezza a Torrance in California come un piccolo delinquente. Ma durante l’adolescenza coltiva il talento per la corsa arrivando a partecipare alle Olimpiadi di Berlino del 1936 dove sorprende perfino Hitler. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Zamperini si arruola nell’aviazione. Divenuto Tenente, prende parte a diverse missioni nel Pacifico. Ma nell’aprile del 1943 il B-24 Liberator di Louie, il Green Hornet, un velivolo piuttosto malridotto, precipita in mare durante una missione di salvataggio nel Sud del Pacifico. Otto degli undici membri dell’equipaggio muoiono. I tre superstiti sono Louis Zamperini insieme ai due avieri, il Capitano Russell Allen Phillips e il Sergente Francis McNamara. I tre restano alla deriva su due scialuppe di salvataggio per diverse settimane. McNamara muore dopo 33 giorni mentre Louis e Phillips resistono per ben quarantasette giorni. Trascinati da un tifone su un atollo delle isole Marshall, vengono fatti prigionieri dai giapponesi. In più di due anni di prigionia, Louis conosce la fame, la tortura, gli abusi, soprattutto per mano di un aguzzino giapponese, Mutsuhiro Watanabe, soprannominato “l’Uccello”, noto per il suo sadismo e la sua brutalità. Louis sopravvive a delle prove disumane prima di apprendere che il 20 agosto 1945 i prigionieri alleati sono uomini liberi e che la guerra è finita. Ma Louie per diversi anni soffre di incubi e di un disturbo mentale paralizzante che in seguito fu classificato come Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS), combatterà a lungo contro ansia e alcoolismo.
Tratto dal libro best seller di Laura Hillenbrand “Unbroken: A World War II Story of Survival, Resilience and Redemption” (“Sono ancora un uomo: Una storia epica di resistenza e coraggio”) frutto della collaborazione tra la scrittrice e Zamperini (solo le interviste telefoniche sono 75) che non si sono mai incontrati di persona fino alla pubblicazione del libro avvenuta nel 2010, il film della Jolie è senza dubbio un’opera ricca di temi forti e valori universali. Era forse davvero destino che le vicende della diva e quella del mitico Zamperini si incrociassero: i due erano infatti vicini di casa sulle colline di Hollywood.
Secondo film da regista della Jolie (dopo il melodramma sul conflitto nella ex Yugoslavia Nella terra del sangue e del miele), Unbroken è un drammone storico (137 minuti di durata) che copre un arco temporale che va dal 1920 fino alla seconda guerra mondiale: dai trionfi olimpici, alla sopravvivenza in mezzo al mare, fino al calvario di una durissima prigionia.
Con intelligenza l’attrice-regista sceglie di raccontare la vicenda umana di grande coraggio del campione di corsa olimpica italo-americano e non di parlare della sua totale adesione al cristianesimo e ai suoi principi (divenne perfino predicatore) dopo gli anni della sindrome da stress post traumatico. La Jolie insomma siede dietro la macchina da presa con le idee chiare. Con uno stile di regia classico e sufficientemente rigoroso, supportata da un ottimo cast (primo fra tutti il giovane britannico Jack O’Connell che veste i panni di Louis) e da un team di sceneggiatori di prima grandezza che va da Richard LaGravenese, a William Nicholson, fino a Joel e Ethan Coen, ‘Jolly’ (come la chiamava affettuosamente Zamperini) rende in pieno il clima epico del racconto mancando però di quel tocco d’autore che la renda regista di razza a pieno titolo. Certo, tutta la squadra di lavoro, dal direttore della fotografia Roger Deakins (collaboratore dei fratelli Coen in diversi capolavori, da Fargo a Non è un paese per vecchi) all’autore delle musiche Alexandre Desplat, contribuisce a confezionare un film che prometteva, almeno sulla carta, un ottimo risultato.
Ma per una figlia d’arte, ex giovane attrice ribelle trasformatasi poi in diva glamour, moglie di uno degli attori più desiderati del mondo, madre affettuosa di uno stuolo di bambini suoi e adottati, ambasciatrice umanitaria in terre dilaniate da guerre e carestie, insomma per una star instancabile e coraggiosa che ha rischiato di essere ostacolata da una bellezza quasi ingombrante, il risultato, seppur a tratti didascalico, retorico e autocelebrativo della bandiera a stelle e strisce, è comunque sufficientemente convincente. Louis Zamperini ha letto la sceneggiatura ed è stato consultato durante le riprese, è riuscito anche a vedere qualche fotogramma prima di morire, il 2 luglio del 2014, a novantasette anni. La sua era davvero una storia “da cinema”, tanto che Hollywood da cinquantasette anni tentava di farne un film.

Elena Bartoni

 


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