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Ave, Cesare! - Recensione

09/03/2016 | Recensioni |
Ave, Cesare! - Recensione

C’è stato un cinema in che raccontava società e uomini in termini mitici. E’ quello raccontato in Ave, Cesare!
Uno studioso di cinema contemporaneo afferma, nella sua ricostruzione dei miti di celluloide, che in seguito vennero i tempi dell’esercizio del sospetto, della promessa di uno smascheramento definitivo, insomma della lotta a tutte le finzioni, a ciò che sembrava e che non era.
Ma Hollywood, per sua intrinseca natura, ha continuato a portare avanti quello che è stato definito “il tarlo dell’irraggiungibilità”, del nostro “essere sospesi nella finzione”. 
I geniali fratelli Coen tornano a Hollywood (che avevano visitato con arguzia e ironia in Barton Fink del 1991) e confezionano, come è scritto nelle note di produzione del film,  “un cioccolatino dal retrogusto dolce-amaro pensato per il sistema degli studios”, un omaggio alla Hollywood nella sua età d’oro ma anche uno svelamento dei meccanismi oscuri degli affari cinematografici durante gli anni dei grandi successi.
I Coen provano ancora una volta a mostrare luci e ombre di una fenomenale macchina da soldi in un periodo critico, l’inizio degli anni ’50, quando gli studi più importanti dovevano vedersela con l’ascesa di un rivale importante come la televisione e con il pericolo che veniva da importanti cambiamenti politici e sociali, in primis la Guerra Fredda e la dilagante paura del Comunismo.

Il vero ‘deus ex machina’ di questo l’intreccio ‘made in Hollywood’ è Eddie Mannix (Josh Brolin) che lavora come fixer per la “Capitol Pictures” con l’incarico di tirare fuori dai guai le stelle sotto contratto con lo studio. Infatti, ogni film prodotto dalla Capitol porta con sé grane e Mannix ha il gravoso compito di trovare una soluzione per tutto.
Lui è l’uomo capace di far ottenere al prossimo film ispirato alla Bibbia la benedizione delle autorità religiose ma anche colui che convince il regista impegnato Laurence Laurenz (Ralph Fiennnes) a non sbarazzarsi della star del western (negata per la recitazione) Hobie Doyle (Alden Ehrenreich) per il suo prossimo film.
Eddie corre da un’emergenza a un’altra: deve affrontare i problemi personali della bella attrice DeeAnna Moran in attesa di un figlio ‘scomodo’ (Scarlett Johansson) o trovare una spiegazione per i sospetti comportamenti del superdivo Burt Gurney (Channing Tatum).
Ma questa volta Mannix deve affrontare una delle crisi più difficili della sua carriera: Baird Whitlock (George Clooney), uno dei divi più amati dal pubblico, è stato rapito nel mezzo della produzione del ‘peplum’ Ave, Cesare!. Un gruppo misterioso rivendica il rapimento e minaccia: o lo studio tirerà fuori oltre 100.000 dollari oppure potranno scordarsi del loro divo più acclamato.
Tra tutti questi problemi, Mannix deve evitare a tutti i costi ogni possibile fuga di notizie che possa incrementare gli articoli di gossip di due sorelle, Thora e Thessaly Tacker (Tilda Swinton), ma allo stesso tempo deve coccolarle e corromperle con qualche esclusiva.

Non c’è prezzo troppo alto per mantenere in vita l’illusione della fama. E’ una disarmante verità che teneva in vita quella fabbrica dei sogni che serviva al pubblico intrattenimenti sensazionali come storie ispirate agli eventi narrati nella Bibbia, musical in technicolor conditi da coreografie spettacolari (fuori e dentro l’acqua di grandi piscine), western avvincenti e drammi da salotto. I meccanismi ben oliati della macchina dei sogni dovevano provvedere a preservare le sue star e a controllare ogni aspetto della loro vita pur di farle apparire come creature ultraterrene, idealizzate e protette da intrusioni in aspetti scomodi del loro privato.
Partendo, anche questa volta come in Barton Fink, da una riflessione sul cinema classico di Hollywood, i Coen confezionano un omaggio ammirato a un’industria che è anche un impietoso serbatoio di accuse contro la massiccia ipocrisia di quello stesso sistema. Su tutta la galassia di stelle e stelline, campeggia una figura paterna, l’infaticabile Eddie Mannix (uno straordinario Josh Brolin), uomo pronto a offrire riferimenti morali per gente volubile e senza regole.
A metà strada tra il pastiche e il divertissement puro, Ave Cesare! sceglie lo stesso titolo di  uno dei film di cui si racconta la lavorazione. Singolare è poi la coincidenza tra il personaggio interpretato da George Clooney (che nel film suddetto veste i panni di un tribuno romano che viene folgorato dalla figura di Gesù Cristo) e quello interpretato da Joseph Fiennes nel film Risorto che tra pochi giorni uscirà nelle sale. Rimandi meta-cinematografici? Gioco di scatole cinesi? Semplici coincidenze? Più semplicemente un atto d’amore incondizionato dei Coen per il cinema (così come è amore vero per l’industria per cui lavora quello del protagonista Mannix, personaggio realmente esistito).
E così tra un balletto acquatico alla Esther Williams (con la sirena Johansson), una scena western, un ridondante ‘peplum’, balletti di marinai (con Channing Tatum che ha un’altra occasione di mostrare le sue doti di ballerino), sketch, scandali, rapimenti e dibattiti sul materialismo da parte di un gruppo di ferventi sceneggiatori comunisti, il cattolicissimo Mannix (il film si apre con una sua tirata in confessionale) si muove come un piccolo dio divertendo i fratelli Coen, prima dello spettatore.
Ma il cinema è passato dal tempo mitico degli eroi semplici e della storia che filava dritta verso i suoi obiettivi, attraverso varie fasi (tra cui la Hollywood dei cosiddetti ‘perdenti’ e il post-moderno), per arrivare a quella lotta a tutte le finzioni di cui si parlava all’inizio, cercando la verità nelle storie che si raccontavano.
Anche se, sopra a tutto, quello che resta del cinema è una grande e giocosa fabbrica della finzione che diverte e fa divertire, anche nell’epoca della ricerca del vero e del nuovo, anche nel cinema di oggi, prostrato spesso solo al dio denaro e al profitto.
E a commento di un gioiellino meta-cinematografico come Ave, Cesare! pieno zeppo di ‘dèi’ di celluloide, calza alla perfezione il consiglio dello scrittore Kurt Vonnegut (la cui originale mescolanza di fantasia, satira politica e sociale, humour nero, utopie e anti-utopie, è per certi versi vicina al cinema ‘avantpop’ dei Coen) nel romanzo-capolavoro “Madre notte”: “Noi siamo quel che facciamo finta di essere, sicché dobbiamo fare molta attenzione a ciò che facciamo finta di essere”.

Elena Bartoni
 

 


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