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Risorto - Recensione

16/03/2016 | Recensioni |
Risorto - Recensione

La Pasqua si avvicina e le uscite in sala si adeguano, nelle tematiche e nello spirito. E’ il caso di Risorto, epico racconto della storia della resurrezione di Gesù e delle settimane che seguirono.
Questa volta la prospettiva da cui è visto il racconto è quella del tribuno romano di alto rango, Clavio (Joseph Fiennes) che, con il suo aiutante Lucio (Tom Felton), riceve da Ponzio Pilato il compito di risolvere il mistero di ciò che è accaduto al corpo di Yeshua (nome ebraico di Gesù) nelle settimane seguenti la crocefissione, con lo scopo di smentire le voci che il Messia sia risorto, ed evitare quindi una rivolta a Gerusalemme.
E’ imminente la visita dell’imperatore Tiberio e la paura di disordini in Palestina è forte. Il timore è soprattutto quello di una rivolta in nome di Gesù risorto.
Clavio avvia quindi un’indagine che mette in dubbio il suo scetticismo. Dopo aver raccolto alcune testimonianze, il tribuno inizia a porsi degli interrogativi e intraprende una strada che lo cambierà profondamente.

Il grande regista Cecil B. De Mille diceva che “un film religioso non ha mai fallito”. E forse non aveva tutti i torti se si pensa che la storia biblica della crocifissione e resurrezione di Gesù è stata più volte portata sul grande schermo.
Dalla trasposizione più antica, proprio ad opera di De Mille nel 1927 nel muto Il Re dei Re, passando attraverso La più grande storia mai raccontata (kolossal di George Stevens del 1965) fino a tempi a noi vicini, il 2004, anno del controverso La Passione di Cristo di Mel Gibson, la morte e resurrezione di Cristo hanno avuto versioni molto diverse al cinema.
Ma qui la chiave cambia ancora, il risultato è a metà strada tra il thriller (l’indagine di Clavio sulla sparizione del corpo di Gesù) e la rivelazione spirituale (lo stupore misto a turbamento del tribuno di fronte all’apparizione di Gesù risorto). Clavio è l’investigatore scettico, un uomo che subisce una trasformazione drammatica e profonda, da militare rigoroso, ambizioso e brutale a uomo disposto a mettere in discussione le proprie convinzioni ma soprattutto la propria spiritualità (troverà gli apostoli e li seguirà fino in Galilea) .
L’idea di affrontare il grande mistero della resurrezione di Gesù in chiave di indagine poliziesca la aveva già avuta Damiano Damiani nel 1986 con L’inchiesta (film tratto da un soggetto scritto da Ennio Flaiano e Suso Cecchi D'Amico) in cui un funzionario dell’imperatore viene mandato in Palestina per risolvere il mistero della sparizione del corpo di Cristo. Ma, mentre nel film di Damiani il Jeshua in carne e ossa non appariva mai, qui il Cristo risorto viene incarnato dall’attore neozelandese di origini maori Cliff Curtis (che Reynolds aveva già diretto in Rapa Nui), nell’atto di accompagnare i discepoli e il tribuno nel loro viaggio verso la luce. Nella seconda parte del film, il racconto si sposta infatti su un registro più spirituale, mescolando i racconti dei Vangeli, e tutto acquista un sapore più trascendente. Fino all’ultima apparizione di Gesù in Galilea sul mare di Tiberìade, narrata nel Vangelo di Giovanni (la pesca miracolosa di 153 pesci) e all’ascensione in un trionfo di luce.
Partendo da un cinema d’indagine pseudo-poliziesca, Kevin Reynolds (regista di pochi film diluiti in una trentina d’anni, da Fandango a Robin Hood: Principe dei ladri entrambi con Kevin Costner, al tonfo colossale di Waterworld, fino a Tristano e Isotta del 2006) sceglie di girare tra Malta e la regione spagnola di Almeria, approdando a un film di fede che prende le mosse dalla prospettiva atea del tribuno romano Clavio, cui offre il fisico possente l’attore britannico Joseph Fiennes. 
Lontano anni luce dai toni forti della Passione di Gibson, lo sguardo offerto dal film di Reynolds è pacificatore e lieve (anche la scena della crocifissione evita toni eccessivamente cruenti). Opera destinata a chi è già incline alla fede, Risorto si colloca in pieno clima pasquale e in un’epoca storica come la nostra, in cui il messaggio di pace e amore assoluto e incondizionato può avere ancora il suo valore e il suo richiamo emozionale.

Elena Bartoni
 

 


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