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Recensione di: American Beauty

17/12/2010 | Recensioni |
Recensione di: American Beauty

Grottesco e spietato, “American Beauty” è uno di quei film che fa epoca; una di quelle pellicole che fanno cadere tutte le certezze del cinema confetto, ovvero quel cinema confezionato ad hoc per la classe media americana. Il lavoro in questione rappresenta infatti degli Stati Uniti tutt’altro che beauty, o meglio l’america beauty esiste, solo che, con sarcasmo e un’ironia pungente, si sgretola sequenza dopo sequenza. L’approccio dello spettatore non può essere superficiale, del resto quello che si sta per andare a scardinare sono le fondamenta di una superpotenza, in cui poche domande vengono fatte, ma molte risposte vengono date. Meditativo e tragicomico allo stesso tempo, la storia del pubblicitario che si innamora di una compagna di classe della figlia non è altro che un pretesto per mettere in luce l’ipocrisia e le frustrazioni dell’essere umano che non sa più quale strada prendere nella società moderna: essere quello che si vuole o fare quello che si deve? E la risposta agghiacciante arriva dallo schermo proprio alla fine del film.
L’eccentrico film è l’esordio sul grande schermo dello sceneggiatore Alan Ball, che affida questa sua imprevedibile sceneggiatura alle sapienti mani di Sam Mendes, anche lui per la prima volta nelle vesti di regista cinematografico, dopo diversi anni di gavetta nei teatri. Ma chi è Alan Ball? » il papà della black-comedy “Six Feet Under” e “True Blod”, serie televisive di cui avete certamente sentito parlare. Dunque un marchio di garanzia DOC per questa pellicola che sfruttando anche un cast eccezionale, conclude alla grande il Novecento, regalando allo spettatore una visione a 360° della middle class americana.
Ovviamente si possono tralasciare i premi vinti: Oscar solo nelle categorie che contano (miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale, miglior attore protagonista, miglior fotografia), 3 Golden Globe, 6 Bafta e anche un Nastro d’Argento.
Tutto è perfetto e calibrato. Inquadratura dopo inquadratura si arriva all’anima di tutti i personaggi, spogliandoli della maschera che indossano. Assolutamente da vedere e consigliare.

Davide Monastra

 


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