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Recensione di: Profumo – Storia di un assassino

03/03/2011 | Recensioni |
Recensione di: Profumo – Storia di un assassino

“Profumo – Storia di un assassino” è uno di quei film in cui il giudizio di pubblico e critica non è unanime. Se chiedete a qualcuno che si reca al cinema una tantum vi dirà che questo film è un capolavoro, se chiedete quello che pensa ad un critico o ad un cinefilo non può che essere scettico sul lavoro del regista Tom Tykwer. Partiamo dalla storia. Tratta dall’omonimo romanzo di Patrick Süskind, la vicenda narra la vita di Jean Baptiste Grenouille, un profumiere francese di metà diciottesimo secolo. Nato nel quartiere più puzzolente di Parigi, il giovane, crescendo, decide, grazie al suo dono di percepire tutti gli odori, di creare il profumo perfetto, il profumo che arrivi a parlare all’anima degli uomini. Per realizzare questo suo sogno, non si crea il minimo scrupolo, nemmeno quello di macchiarsi del crimine più terribile: l’omicidio.

Ora, nel libro, tutto passa attraverso le sensazioni olfattive del protagonista e tutti i suoi stati d’animo e le sue azioni sono ben spiegate. Nel film purtroppo le lunghe descrizioni interiori sono raccontate da una (discutibile) voce off, appartenente ad un cinema d’altri tempi, demodè.

Tutto procede bene, anche se sembra assurdo che quest’uomo non provi alcun tipo di rimorso per tutto ciò che sta commettendo. Arrivando verso la risoluzione finale, il tono della narrazione cambia: sparisce il mondo dell’olfatto e tutto si concentra sulla parte da serial killer, con gli abitanti del paese preoccupati a salvare le loro donzelle.

L’ultimo quarto d’ora è poi un’eresia per gli amanti del cinema. Si passa da un videoclip musicale simil-porno, con un’orgia cittadina che dovrebbe essere giustificata, ma che fa solo sorridere dato che tutti sembrano modelli e modelle di una pubblicità di Dolce & Gabbana, per finire proprio ad un’assurda conclusione, che davvero non ha alcun senso logico. Va bene che il “delirio” ha reso immortali grandi registi, ma in questo caso la situazione è ben diversa e più vicina al comico, involontario, ma pur sempre comico, che al capolavoro.

Dunque partendo dalla premessa che è difficile, se non impossibile, portare al cinema un romanzo introspettivo e, in questo caso, con l’aggravante delle sensazioni, è meglio sempre lasciare certe storie solo al mondo della letteratura.

Davide Monastra

 


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