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Noi siamo infinito – Recensione

13/02/2013 | Recensioni |
Noi siamo infinito – Recensione

Quando si pensa ad un film sugli adolescenti tendenzialmente gli adulti sono portati a credere che il linguaggio ed il racconto saranno, essenzialmente, rivolti al target di riferimento. The Perks of Being a Wallflower (letteralmente "I vantaggi di essere una carta da parati"), tradotto in italiano con Noi siamo infinito, è la riprova che avendo un gusto cinematografico preciso e raffinato, il racconto diventa automaticamente universale. Stephen Chbosky, al suo secondo lungometraggio dopo l’esordio nel 1995 con The Four Corners of Nowhere, dirige il suo omonimo best seller (pubblicato in Italia nel 2006 con il titolo di Ragazzo da parete), oggetto di diverse controversie, sopratutto negli Stati Uniti, per le tematiche trattate. Ad essere sotto la lente di ingrandimento sono non solo le difficoltà di trovare un posto nel mondo, base referenziale di una sana e turbolenta adolescenza, ma anche un più profondo sguardo verso problematiche legate a “comportamenti ad alto rischio”, dove il sesso, le droghe e l’alcool sono strumenti di punizione auto inflitta, ma anche inevitabile conoscenza del lupo cattivo. 

1991. Charlie, un adolescente dotato di un’intelligenza straordinaria, ma anche molto problematico (il suo migliore amico Michael si è suicidato e la zia prediletta è morta in un incidente), è alle prese con il suo primo anno alle superiori. Il suo essere particolarmente timido ed introverso lo porta ad avere delle serie difficoltà a integrarsi e a farsi degli amici. Quando incontra due ragazzi dell'ultimo anno, il carismatico Patrick e la sua sorellastra Sam, la sua vita cambia radicalmente, e riuscirà grazie a loro a prendere consapevolezza di se stesso e della sua interiorità unica e speciale.

Con un garbo inusuale e una delicatezza che, anche nei momenti di maggiore pathos  e tragicità non cede alle lusinghe del pietismo, il film, con cognizione di causa e maturità registica, strizza l’occhio ad un gusto amarcord anni Novanta, che più che nostalgico sembra avere l’effetto di un viaggio nel viale dei ricordi, dove le compilation fai da te, registrate sulle musicassette, sono la colonna sonora di emozioni sopite ma mai dimenticate. David Bowie e la sua Heroes, Asleep dei The Smiths, ma anche il The Rocky Horror Picture Show, nonché capisaldi della letteratura come Il giovane Holden, sono la base culturale sulla quale si fonda la ricerca del proprio spazio nel mondo da parte di Charlie. Gli interpreti scelti sono quanto mai adatti, a cominciare da un inaspettato Logan Lerman (Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo - Il ladro di fulmini, 2010) perfetto nel ruolo del riservato e tenero protagonista, strappa più di un sorriso di condiscendenza. Emma Watson, svestiti definitivamente i panni della streghetta Hemione Granger di Harry Potter, si dimostra un’attrice consolidata e credibile, affascinate e sofisticata. Ezra Miller (autore dell’ottima performance in ...E ora parliamo di Kevin, 2011) chiude questo trittico d’eccezione, vestendo i panni del “buffone di corte”, prima dentro e poi fuori dal coro.

Serena Guidoni

 


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