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Recensione di: Beyond

16/03/2011 | Recensioni |
Recensione di: Beyond

Nel 1979 l’attrice svedese Pernilla August venne scelta dal maestro Ingmar Bergman per interpretare un ruolo secondario nel suo film/testamento cinematografico “Fanny e Alexander”. Oggi a molti anni di distanza dal suo debutto, la August si cimenta nella regia con “Beyond”, tratto da un romanzo della connazionale Susana Alakoski, vincitore del Premio della Critica a Venezia e  del Foreign Press Award al Filmfest di Amburgo. Il film racconta una storia ineluttabilmente di “ordinaria”  attualità, nella quale si dipana un percorso di sofferenza tra alcolismo e violenza domestica ma che, nello stesso tempo, restituisce allo spettatore una dimenticata sobrietà nell’affrontare temi così delicati. Noomi Rapace, conosciuta per la sua performance nella trilogia di “Millennium”, pellicole tratte dai best sellers del compianto Stieg Larsson, dona alla protagonista di questo racconto, Leena, un’intensità drammatica pacata ma decisa, grazie ad una regia che indugiando sui ripetuti primi piani, intende scrutare una realtà privata ma senza essere invadente. Il pregio del film, infatti, non è l’originalità del racconto (la lista dei film su questo argomento è oltremodo infinita), ma la moderazione nella cifra stilistica, misurata e mai sopra le righe, aspetti assolutamente basilari della cinematografia svedese, e più in generale del nord Europa. Gli scandinavi ci hanno abituato ad una rappresentazione del dolore, che parte quasi sempre da una negazione. La protagonista, infatti, inizialmente non solo non ammette di aver avuto un passato, ma lo getta nell’oblio, nonostante la consapevolezza di non poterci riuscire. La preponderanza con la quale la sua infanzia torna a farle visita, distrugge la realtà “dorata” della sua famiglia attuale, ed i traumi fortemente celati ritornano come una radice dannosa mai del tutto estirpata. A questo punto bisogna solo farci i conti…

Serena Guidoni

 


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