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Educazione Siberiana – Recensione

25/02/2013 | Recensioni |
Educazione Siberiana – Recensione

Gabriele Salvatores torna nelle sale con la trasposizione cinematografica del best-seller di Nicolai Lilin, “Educazione siberiana”, edito da Einaudi. Ricevuta la proposta di portare su grande schermo il romanzo da parte della casa di produzione Cattleya, il regista nostrano si mostra all’altezza del progetto ponendosi alla regia di un cast internazionale, capitanato da John Malkovich.

Nella fredda e nevosa Russia Kolima e Gagarin crescono nella comunità Urka di Fiume Basso sotto i precetti del nonno Kuzja (John Malkovich), patriarca della loro etnia che, come ogni altra etnia nello stesso territorio e nello stesso periodo, ha le proprie regole, le proprie leggi e la propria giustizia da rispettare. Sullo sfondo, gli anni compresi tra il 1985 e il 1995 accompagnano la crescita dei due ragazzi determinando il cambiamento del mondo che li circonda. Dallo scoppio della guerra fredda e il clima poliziesco che incombe nell’Unione Sovietica, si assiste alla caduta del muro di Berlino e alla disgregazione dell’URSS con l’inevitabile crisi di identità e ideologie. Le vicende personali, inserite in questa delicata cornice storica, spingono Kolima e Gagarin, ormai adulti, a percorrere strade diverse.
Come emerge dal libro, il territorio preciso in cui la storia è ambientata è lo stato della Transnistria, tra l’Ucraina e la Moldavia, dove Stalin decise di deportare i criminali. La rigida educazione propugnata dall’autorevole John Malkovich si basa sulla saggia constatazione che “un uomo non può possedere più di quanto il suo cuore può amare” e su una giustizia, una sorta di codice d’onore, che porta gli stessi siberiani a definirsi “criminali onesti”.  E così: non è ammesso sparare in casa, è severamente vietato lo strozzinaggio e lo spaccio di droga, le rapine sono concesse solo a danno della polizia, dei banchieri, degli usurai e di coloro che lavorano al governo (parole sante nell’odierno clima italiano di nuove elezioni politiche e crisi economica). Questi precetti non escludono l’utilizzo di armi e violenza tradotte nel film in scene cruenti e di grande impatto emotivo sul pubblico.

Salvatores racconta una storia umanamente comprensibile che emoziona e fa riflettere su valori universali. Primo fra tutti: buono e cattivo, giusto e sbagliato, onesto e disonesto sono concetti soggettivi. A tal proposito, John Malkovich, in sede di conferenza stampa per la presentazione del film, ha dichiarato, distaccandosi dal suo personaggio, di non sentirsi affatto Maestro nella vita, così come Salvatores ha specificato che, al di là della condivisione o meno dei precetti propugnati, è necessaria un’autorità che stabilisca ciò che è giusto o sbagliato per offrire la possibilità di aderire a ciò che viene insegnato o di discernere, smentire e rifiutare. In età adulta, infatti, se da una parte Gagarin, dopo aver trascorso sette anni tra prigione e riformatorio, non crede più a niente se non a ciò in cui lui stesso vuole credere, dall’altra Kolima, pur continuando a rispettare le regole e a portare a termine l’ultimo compito di cui la sua comunità lo investe, decide di dirigersi verso un Occidente più libero. Predominante nel film è il valore dell’amicizia (i due protagonisti, prima amici, poi nemici, nutrono fino alla fine la speranza di rincontrarsi e riallacciare il loro legame) e il rispetto del diverso che si esplica nei confronti di Xenja, una ragazza con qualche disturbo mentale, cosiddetta “voluta da Dio”, accettata e protetta dal gruppo di Kolima.

In “Educazione siberiana” il cinema nazionale e internazionale, Oriente ed Occidente si incontrano in un connubio che funziona. L’intento del regista e, prima di lui, dell’autore del libro, non è documentaristico, ma quello di narrare un romanzo di formazione, una storia libera ed universale che può essere adattata alle realtà politiche e sociali di molti Paesi (un esempio: il Medioriente, oggi). Difficile è stato per gli sceneggiatori Rulli e Petraglia ridurre la mole di vicende e personaggi presenti nel libro, e ritagliare quei pochi protagonisti essenziali per realizzare una storia rivolta a un pubblico più vasto possibile. 
Un’icona del cinema internazionale del calibro di John Malkovich, sempre impeccabile nei suoi ruoli, rende il cast altisonante e di qualità insieme alla bravura di giovani attori esordienti, che si aggiungono al panorama cinematografico delle grandi rivelazioni. Il protagonista Arnas Fedaravičius (Kolima) incanta con il suo volto pulito del buono e bravo ragazzo, da cui traspare una grande bontà d’animo. A Vilius Tumalavičius (Gagarin) basta solo uno sguardo per rapire lo spettatore e trascinarlo nel vortice delle sue emozioni. Eleanor Tomlinson, già vista nel film “L’illusionista” (2007), interpreta al meglio l’innocenza e la fragilità di Xenja.
 
Il film si sviluppa con un ritmo ben ponderato e cadenzato. L’attimo di maggiore rottura dell’omogeneità narrativa è rappresentato dalla sequenza della giostra, che scorre sulle note di David Bowie. L’unico appunto che si potrebbe fare al regista è forse, in alcuni momenti, la piattezza della pellicola priva di una svolta o di un’impronta decisiva e personale. Al di là di ciò e nonostante le sue pregresse esperienze nella trasposizione cinematografica di romanzi (“Io non ho paura”. “Quo vadis, baby”, “Come Dio comanda”), non si può fare a meno di riconoscere a Salvatores la qualità di sperimentare e mettersi continuamente in gioco, realizzando film sempre nuovi e mai uguali a quelli precedenti.
Nelle sale italiane dal 28 febbraio, distribuito in più di 350 copie, il film merita di essere visto per i validi spunti di riflessioni che fornisce e le profonde emozioni che suscita.

Elisa Cuozzo

 


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