Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie.

Recensione di: Uomini che odiano le donne

08/09/2010 | Recensioni |

Dal romanzo omonimo di Stieg Larsson. Il giornalista economico Mikael Blomvist, in crisi professionale, viene coinvolto dall’anziano industriale Henrik Vanger nella ricerca della nipote Harrieth, misteriosamente scomparsa anni prima. Le indagini, in cui sarà affiancato dall’ hacker Lisbeth Salander, porteranno alla luce i segreti più torbidi e atroci della famiglia. Ma mostreranno anche l’abisso che la società svedese nasconde dietro alla maschera dei diritti acquisiti e della prosperità. La trasposizione di un romanzo di 800 pagine in un lungometraggio di due ore comporta inevitabili sacrifici, leggasi tagli, omissioni etc. Qui i più significativi riguardano l’ interiorità dei personaggi e le loro motivazioni, vedi i sentimenti che portano Lisbeth all’attrazione verso Mikael o le ragioni che la spingono a non denunciare l’avvocato Bjorman. Discutibile è poi l’ esclusione, nel finale, di una scena importante per definire il rapporto fra i due protagonisti. Il vero problema del film però è la sua pedissequa e troppo statica fedeltà al testo letterario, con una regia che pur non censurando una virgola delle violenze narrate dall’autore non riesce a portare emotivamente in vita la vicenda sullo schermo.Si limita a illustrarla meccanicamente, a esporla con una freddezza che va oltre quella che sarebbe anche funzionale al contesto “scandinavo” in cui si svolge. L’ impressione è quella di assistere a una fiction svedese soporifera e diretta senza infamia e senza lode, il che per un prodotto che si incentra proprio sull’ infamia di cui il genere umano (maschile) è capace, non è il massimo. Anche quasi tutti gli attori, pur apprezzati sul Morandini come “facce nuove”, lasciano un impressione di piattezza e inespressività, con la sola eccezione della Lisbeth di Noomi Rapace e di un Bjorman lugubre e viscido al punto giusto. Il cinema americano è spesso a ragione accusato di difetti come la superficialità ma sta di fatto che i suoi innegabili pregi (fra cui quella che chiameremo “energia”) mancano in questo contesto come l’acqua al deserto. Non è un caso se molti abbiano auspicato un remake USA, peraltro in arrivo a breve per l’intera trilogia.

 


Facebook  Twitter  Invia ad un amico  Condividi su OK Notizie 
 

Notizie in evidenza

Collabora con Voto 10
Seguici su Facebook Seguici su Google Plus Seguici su Twitter
Seguici su YouTube Registrati alla nostra Community Abbonati al nostro feed rss

I CINEMA DELLA TUA PROVINCIA

Advertising   Chi siamo   Collabora con Noi   Cookie Policy   Privacy   Termini e Condizioni d'Uso   Web TV  
 
Cerca
powered by Roma Virtuale :: Web Agency