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Perfetti sconosciuti - Recensione

10/02/2016 | Recensioni |
Perfetti sconosciuti - Recensione

Lo smartphone è un oggetto di cui tutti, volenti o nolenti, siamo ormai schiavi. E' lui, la piccola (odiata e amata) ‘scatola nera’ che contiene, più o meno, tutte le nostre vite.
E’ questo lo spunto interessante alla base dell’intera sceneggiatura di Perfetti sconosciuti, nuova fatica cinematografica di Paolo Genovese.
Una sera, durante la solita cena tra amici in un appartamento, nasce la proposta di uno strano ‘gioco’: tutti i commensali dovranno lasciare il proprio telefono in mezzo al tavolo e accettare di leggere tutto ciò che arriverà (sms, whatsapp, e-mail) o ascoltare le telefonate pubblicamente. Detto fatto, quello che all’inizio sembra solo un passatempo innocente diventerà nel corso della serata un vero gioco al massacro. Si scopriranno tante scomode verità e verranno svelati i lati segreti di ognuno dei personaggi, fino a un finale a sorpresa.
L’idea del gioco viene proprio dalla padrona di casa, Eva (Kasia Smutniak), una psichiatra in crisi col marito Rocco (Marco Giallini) e incapace di avere un rapporto sereno con la figlia adolescente. Una coppia fresca di matrimonio è quella formata da Bianca (Alba Rohrwacher), veterinaria timida, riservata e innamoratissima, e Cosimo (Edoardo Leo), tassista esuberante che ha cambiato mille mestieri. Poi ci sono Lele (Valerio Mastandrea) e Carlotta (Anna Foglietta) sposati da anni: lui è funzionario in una grande azienda, lei si dedica completamente ai loro due figli. Completa il gruppo Peppe (Giuseppe Battiston), professore di ginnastica appena licenziato e attualmente alla ricerca di un lavoro. In occasione della cena, Peppe avrebbe dovuto presentare agli amici la sua nuova fidanzata ma all’ultimo momento si presenta da solo.

C’è una grande verità racchiusa nella battuta pronunciata da uno dei personaggi del film, intento a osservare laconicamente come siamo tutti più “frangibili” nel momento in cui i segreti più riposti delle nostre vite sono affidati a strumenti tecnologici come i nuovi media. Ma la cosa davvero grave è il modo “ludico” con cui spesso usiamo tutta una serie di nuovi 'strumenti di comunicazione' come sms, whatsapp, email, skype, social di vario genere. In questo universo sempre connesso dove la comunicazione è diventata sempre più accessibile e globale, noi tutti mettiamo in rete segreti piccoli e grandi, alla portata di un solo sfiorare di dita. Ma forse non sempre siamo coscienti di quanto le potenziali conseguenze di tutto ciò possano essere dolorose, molto dolorose.
E così, ecco il solito gruppo di amici in un interno impegnati in un gioco molto pericoloso, un gioco che mette allo scoperto proprio la “frangibilità” di ognuno: dalla neosposa innamoratissima, alla psicologa in crisi, dalla moglie insoddisfatta, al playboy da strapazzo.
Evidenti sono i richiami ad alcune commedie francesi soprattutto nella forma, ma la sostanza del film di Genovese è fatta di una realtà drammaticamente italiana, tra lavori precari, insoddisfazioni, meschinità, sogni infranti. E così, largo alle bugie, alle foto postate o ricevute in gran segreto, stringendo tra le mani uno smartphone mentre il coniuge, magari, è a pochi metri di distanza.
La sceneggiatura, scritta da cinque penne tra cui il regista e l'attore Rolando Ravello, alterna momenti di sarcasmo a picchi di sofferenza, goliardia e cinismo, sorrisi e lacrime.
Un finale a sorpresa chiude il quadro con una spolverata di saggezza a uso e consumo di questi sette esseri frangibili, e il gioco (che è bello quando dura poco) termina prima che la scena diventi un bagno di sangue.
I perfetti sconosciuti di Genovese certamente si piazzano un passo in avanti rispetto agli eterni Immaturi (immortalati prima a casa e poi in viaggio in Grecia) e alle altrettanto ‘frangibili’ esistenze di Tutta colpa di Freud.
I sette amici a cena giocano, diventano seri, indossano maschere (una su tutte, la finzione perpetrata a lungo dal personaggio di Mastandrea d’accordo con Battiston, anche quando sarebbe più facile dire la verità) e poi se le tolgono, ma soprattutto si rispecchiano nelle loro colpe (più o meno gravi) prima che la luna esca dalla sua eclissi. E’ la paura a percorrere sottilmente come una corrente sotterranea tutti i giocatori riuniti attorno a un tavolo, la paura che le persone che amiamo di più ci nascondano qualcosa. Ma la ricerca della verità, si sa, è più forte della paura di soffrire (o forse masochisticamente ne accetta il rischio).
Con un occhio strizzato all’irraggiungibile commedia umana portata sullo schermo dal maestro Ettore Scola e un omaggio ad alcuni successi cinematografici d’Oltralpe, Genovese confeziona una commedia equilibrata e ben recitata (i sette attori sono tutti convincenti con una menzione particolare per Mastandrea e Giallini, particolarmente intensi e misurati) in bilico tra dramma e farsa, tra lacrima e risata. E, anche se la trovata della sorpresa finale che risolve il ‘pasticcio’ è piuttosto banale e frettolosamente risolutoria, il retrogusto dal sapore acre rimane eccome.
Perché bugie, tradimenti, inganni, sono ferite inferte al cuore difficili da guarire, soprattutto se vengono da chi si ama.

Elena Bartoni
 

 


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