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Troppa grazia - Recensione

21/11/2018 | Recensioni |
Troppa grazia - Recensione

Un’apparizione stra-ordinaria, l’irrompere del mistero, il sacro che all’improvviso entra nel quotidiano delle nostre vite.
Parlando della protagonista di Troppa Grazia, suo terzo lungometraggio da regista (dopo Non pensarci e La felicità è un sistema complesso) presentato a Cannes 2018 nella sezione 'Quinzaine des Realisateurs', il modenese Gianni Zanasi ha sottolineato la “fatica di ridare cittadinanza dentro di noi al mistero imprevedibile del sentire quello che non c’è”.
E’ quello che accade a Lucia (Alba Rohrwacher), una geometra che vive sola con sua figlia Rosa dopo la rottura della relazione con il compagno Arturo (Elio Germano). Mentre si arrangia tra le mille difficoltà economiche e sentimentali, il Comune del paese del Veneto in cui vive le affida l’incarico di controllare un terreno scelto per edificare un grande centro commerciale. Lucia nota che nelle mappe catastali del Comune c’è qualcosa che non va, delle manipolazioni volte a coprire probabili rischi geologici, ma per paura di perdere l’incarico decide di non dire nulla. Il giorno dopo, mentre è sul posto a fare rilevazioni, si vede apparire davanti agli occhi una giovane donna che scambia per una profuga. Lucia le offre cinque euro e riprende a lavorare. Ma la sera la donna le riappare e le dice di essere la madre di Dio. Poi, nella cucina di casa sua, torna da lei e le dice: “Vai dagli uomini e dì loro di costruire una chiesa là dove ti sono apparsa”. Per Lucia inizia un difficile percorso che mette in crisi tutta la sua vita.

Una madre single, una geometra che lotta contro le difficoltà di un lavoro precario e un’apparizione improvvisa. Lucia vede davanti a sé una giovane donna con un velo azzurro che scambia per una profuga: capendo che non è così, pensa di essere diventata pazza. Che fosse davvero la Madonna quella visione che si manifesta solo ai suoi occhi e non a quelli che la circondano?
Sgombriamo il campo da equivoci, il film di Zanasi non è una pellicola che parla di religione e di culto mariano. L’apparizione della Madonna è un mezzo usato dal regista per parlare dell’irruzione di qualcosa più grande di noi nel quotidiano. Qualcosa in grado di darci una forza grandissima, un coraggio per affrontare le difficoltà, per ribellarci a giochi sempre più coercitivi e a vecchie logiche. Per arrivare a ritrovare la bellezza, per guardare con occhi nuovi il mondo che ci circonda cogliendone tutta la magia. Per vedere di nuovo una luce nel cielo, come nella bella scena d’apertura che richiama l’infanzia della protagonista.
Ecco la luce, elemento alla base dello svelamento della grazia divina, della sottrazione del mistero, ma anche l’elemento costitutivo del cinema.
Luce, Lumière, cinema, visione: il loro collegamento è carico di significati e per questo che sia un film a parlare di una visione stra-ordinaria acquista un peso ancora maggiore. La protagonista di Troppa grazia si chiama, non a caso, Lucia, nome derivato dal latino ‘lux’ ossia luce, una donna luminosa, lucente, colei che è protettrice, com’è noto, della vista.
A prima vista una commedia surreale, Troppa grazia è in realtà un film complesso che mostra l’irruzione del soprannaturale come un bisogno sempre più forte per gli uomini e le donne del nostro tempo. Questa volta a incarnare il soprannaturale è una Madonna molto umana, una donna che sa essere concreta e perfino severa (arriverà a picchiare la protagonista per farsi ascoltare). 
Il significato vero di questa apparizione è colto come il frutto di una profonda frustrazione verso un presente che non fa altro che ribadire se stesso “come se non ci fosse più spazio per il mistero” ha sottolineato Zanasi. La geometra spaesata e dalla vita difficile resisterà con ostinazione alle pressioni per costruire un grande centro commerciale in barba a problemi di dissesto del terreno perchè questa Madonna è portatrice di “assoluti etici difficili da gestire nella vita quotidiana: il suo richiamo alla verità è in fondo un invito a non cercare sempre sotterfugi e a perseguire la via di un confronto più diretto con se stessi e con gli altri”.  
Questa Madonna non è quella dei testi sacri quanto piuttosto, sono parole dello stesso regista, “una parte di Lucia che proviene dalla sua infanzia ed è arrabbiatissima con lei perché ha smesso di credere, di immaginare, di innamorarsi. Ed è stata sopraffatta dalla sfiducia e dalla fatica di vivere”.
Una Alba Rohwacher inedita, luminosa e capace di suscitare perfino qualche risata, regala una prova convincente nei panni della protagonista di un film pieno di simboli in cui si ride, ci si arrabbia, ci si commuove, lasciando libera espressione a una complessità di sentimenti rara per un film italiano. Accanto a lei, una serie di bravi attori: da un convincente Giuseppe Battiston, a un misurato Elio Germano, a una enigmatica Hadas Yaron nei panni della Madonna.
Un film gentile, dal taglio ambientalista, delicato e originale, da cui davvero trasuda... troppa grazia.

Elena Bartoni

 

 


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