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C'era una volta...a Hollywood - Recensione

19/09/2019 | Recensioni |
C'era una volta...a Hollywood - Recensione

Il cinema e il suo luogo di elezione, quella Hollywood fabbrica di sogni e al tempo stesso luogo di frustrazioni, fallimenti, ascese e ricadute, illusioni e bruschi risvegli.
Quentin Tarantino canta il suo amore per il cinema e la sua fede incrollabile nel suo potere salvifico in questa sua nona opera da regista (con ogni probabilità la penultima, visto il suo desiderio espresso di fermarsi a dieci film), C’era una volta…a Hollywood.
Il “C’era una volta” (omaggio a quelli di Leone) rimanda a qualcosa di favolistico, la favola di quando Tarantino era bambino e frequentava i cinema per vedere gli amati B-movie. Ma non solo, c’è anche una dichiarazione d’amore verso la Città degli Angeli e verso la settima arte di cui si è nutrito voracemente fin dall’infanzia. Ma c’è ancora di più in questa Hollywood di Tarantino.
Il film poggia su uno schema perfetto e simmetrico. Il perno ruota su un anno cruciale, il 1969. Si gioca con il numero tre: tre personaggi colti in tre giorni cruciali.
L’8 e il 9 febbraio e poi la notte fra l’8 e il 9 agosto (quella della strage di Cielo Drive nella villa di Roman Polanski) in un finale a sorpresa.
Due personaggi sono di fantasia, Rick Dalton (Leonardo Di Caprio) attore di serie televisive western che negli anni Cinquanta stava meglio, e Cliff Booth (Brad Pitt), la sua controfigura, amico fedele e tuttofare. Il terzo personaggio è realmente esistito, si tratta della giovane attrice Sharon Tate (Margot Robbie), moglie di Roman Polanski barbaramente uccisa proprio in quell’anno dagli adepti della setta di Charles Manson: uno dei più efferati delitti compiuti negli Stati Uniti.
Il numero tre ritorna perfettamente nei tre livelli di Hollywood che vengono a incrociarsi: quello più alto rappresentato da Sharon, che ha una carriera in fase di lancio, vive in una bella villa ed è costantemente sotto i riflettori, il secondo livello è quello vissuto da Rick, non è una superstar ma se la cava, anche se la sua carriera sembra giunta a un bivio, il terzo livello è quello di Cliff che lavora ai margini del mondo dorato della fabbrica dei sogni, vive in una roulotte con un cane addestrato e cerca di sbarcare il lunario adattandosi a fare un po’ di tutto.
Ma Rick Dalton si sente andare un po’ alla deriva, dopo aver avuto fama con la serie TV “Bounty Law”. La scelta di lasciare questa serie, a detta del suo agente Martin Schwartz (piccolo ruolo per il grande Al Pacino), non è felice e nel febbraio del 1969 compare come cattivo di turno per una serie di show televisivi. Il suo agente gli consiglia di andare a girare spaghetti-western in Italia, ma la prospettiva non sembra entusiasmarlo. Si rallegra invece del fatto che i suoi vicini di casa a Cielo Drive siano Polanski e signora, bellissima e incinta.
Le stelle, la polvere e la ‘terra di mezzo’ di tanti attori in cerca del salto decisivo, C’era una volta…a Hollywood non ha bisogno di una storia perché racconta tre giorni nella vita di tre personaggi. Rick, Cliff e Sharon “sono” la storia. 
E poi il 1969, anno cruciale che ha tracciato un confine tra la vecchia e la nuova Hollywood, tra il vecchio cinema e quello delle nuove generazioni (in quell’anno esce il cult movie Easy Rider). 
Il magnifico incastro di livelli, il perfetto mix di citazioni, omaggi, rivisitazioni, l’intersecarsi dei piani del racconto, tra cinema e meta-cinema, gira alla perfezione, frutto com’è di una appassionata ricerca di dettagli, uno studio quasi maniacale.
Un ‘pastiche’ rivendicato come tale dallo stesso Tarantino, che vive di una passione vera nel senso più puro. Il film è un caleidoscopio di citazioni, sorprese nascoste, riferimenti: un magma sedimentato nella immensa memoria cinematografica e televisiva di Tarantino. Film, serie TV, attori e attrici, musiche, mode, oggetti, ritornelli, cartelloni pubblicitari, locandine, una vera scatola delle meraviglie. E poi il capolavoro, la costruzione di un’intera filmografia fittizia che cela più di qualche omaggio. 
La carriera dell’attore Rick Dalton parla da sé: emerso grazie alla serie “Bounty Law” per poi passare al cinema. Nel 1969 prende parte nel ruolo del ‘cattivo’ ad alcune serie televisive per poi essere chiamato in Italia per due spaghetti western, Kill me Quick Ringo, Said the Gringo (omaggio a Una pistola per Ringo di Duccio Tessari) e Nebraska Jim (omaggio a Navajo Joe di Sergio Corbucci).   
Tarantino gioca con il cinema, dentro e fuori. Formidabile è la scena in cui Sharon Tate/Margot Robbie va a vedere il film che ha interpretato (The Wrecking Crew con Dean Martin) chiedendo l’ingresso gratis in sala (quando era regista esordiente Tarantino chiese allo stesso modo di entrare gratis nel cinema dove proiettavano il suo film).
Altro capolavoro di ‘cinema che entra nel cinema’ è la scena in cui Rick Dalton aspetta di girare una sequenza da 'cattivo' del vecchio West: in pausa su un set, Rick/Di Caprio si trova seduto accanto a una ragazzina che prende molto sul serio il suo lavoro da attrice, tanto che anche fuori scena non vuole essere chiamata col suo vero nome ma con quello del suo personaggio, per entrare in pieno nella parte. La ragazzina cerca di essere l’attrice più pura che può, al contrario Rick vuole solo essere una star ricca e famosa, con buona pace del professionismo e della dedizione. Ecco il confronto tra due modi di essere attore: la vera arte contro tutto quello che c’è intorno, fama, ricchezza, bella vita.
“Un film sul fare i film”, la definizione è dello stesso Tarantino, al di là della storia di un’amicizia maschile, C’era una volta… a Hollywood racconta, giocando continuamente con l’alternarsi di finzione e realtà, l’essenza del creare e far vivere di vita propria un film.
Allora buio in sala, godetevi lo spettacolo. E non vi alzate per alcun motivo sui titoli di coda.

Elena Bartoni

 

 

 


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