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...E ora parliamo di Kevin - Recensione

16/02/2012 | Recensioni |
...E ora parliamo di Kevin - Recensione

Da sempre si dice che quello dei genitori è forse il mestiere più difficile del mondo. Non a torto se i conflitti, non solo di natura generazionale, fanno da sfondo a drammi ben più grandi ed ampiamente esaminati sia dal cinema che dalla letteratura. Lynne Ramsay, filmmaker scozzese conosciuta con Ratcatcher (1999), fa un’ulteriore riflessione, mettendo in risalto quella parte forse più sconsiderata dell’essere genitori: la condiscendenza. Tratto dall’omonimo romanzo di Lionel Shriver, ...E ora parliamo di Kevin (We Need to Talk About Kevin), presentato in anteprima e in concorso al Festival di Cannes 2011, il film ha fatto incetta di premi in diversi festival internazionali, fra i quali quello come Miglior Film al London Film Festival, e quello per la Miglior Regia al British Independent Film Awards; nonché ha ricevuto ben tre nomination ai BAFTA Awards. Tilda Swinton (eccellente interprete protagonista, che si è aggiudicata il premio come Miglior Attrice agli European Film Awards, ai National Board of Review Awards e ai San Francisco Film Critics Awards, e fresca di nomination ai Golden Globes), incarna alla perfezione un personaggio complesso e mai così veritiero. Eva è una donna che mette da parte ambizioni e carriera per dare alla luce Kevin. La relazione tra madre e figlio è però molto difficile sin dai primissimi anni, in quanto Kevin dimostra un carattere particolarmente violento e scostante. A quindici anni Kevin compie un gesto irrazionale ed imperdonabile. Da quel momento in poi Eva dovrà lottare contro una profonda amarezza e atroci sensi di colpa. La pellicola gioca continuamente con le linee temporali, introducendo ogni aspetto dalla vita della protagonista con calma e chiarezza, passando dai momenti più dolorosi dell’epilogo (svelando mano a mano il dramma con l’uso di sapienti simbologie figurative) ad aspetti sereni (apparentemente, forse?) della vita coniugale, per poi “spiattellare”, senza reticenze o retorica, un disagio ben più grave come quello dell’essere in bilico fra l’amare e l’odiare profondamente un figlio. Il film pone degli interrogativi ai quali, forse, è impossibile rispondere. Quanto l’educazione, il modo di crescere il proprio figlio e le scelte che per lui vengono fatte, sono poi la reale motivazione delle azioni egli stesso compirà? Non siamo dotati di tanta lungimiranza e questo film, nella sua perfetta espressività reale e toccante, ci da solo gli strumenti per riflettere e non le soluzioni.

Serena Guidoni
 

 


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