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007 Skyfall - Recensione

29/10/2012 | Recensioni |
007 Skyfall - Recensione

Caduta e resurrezione … di un mito. Letteralmente, d’altronde è una sacrosanta verità: non si può risorgere se prima non si cade. Un volo (a tutti gli effetti e che effetti!) apre questo capitolo n. 23 della saga più longeva della storia del cinema. E mai volo fu più simbolico. La storia raccontata in questo Skyfall (un titolo profetico) sembra andare di pari passo con le vicende travagliate che ne hanno accompagnato la lavorazione, interrotta nel 2010 per problemi finanziari della Metro-Goldwyn-Mayer e poi ripresa nel 2011.
Ed eccolo finalmente, da noi a partire dal 31 ottobre. Tutto è racchiuso in quel titolo così evocativo e suggestivo: Skyfall. Importantissimo questa volta, e lo si capisce durante la visione. “Cielo” e “caduta”, insieme. Alto e basso, cielo e terra, morte e resurrezione. Due spinte ugualmente e fortemente presenti nel film. Al di là delle congetture che si sono sprecate attorno al significato di questo titolo. Qui la materia è in mano a Sam Mendes, un autore che stavolta fa sul serio, un regista degno per celebrare i cinquant’anni (festeggiatissimi nel mondo con mostre e retrospettive) dell’agente segreto.
Bond entra in scena dall’oscurità con un taglio di luce bellissimo sui suoi occhi, la mano del direttore della fotografia Roger Deakins (che ha firmato capolavori come Non è un paese per vecchi, Fargo e L’uomo che non c’era dei Coen) regala al film sequenze di grande effetto.
L’incipit poi è mozzafiato, un lungo inseguimento per le strade e i tetti di Istanbul (di nuovo basso e alto). Poi il tetto di un treno. E infine un volo. Titoli di testa fulminanti, una meraviglia per gli occhi, qualcosa di prepotentemente simbolico, cromaticamente affascinante, artefice Daniel Kleinman. Gli abissi marini, poi infernali: i coralli, il rosso, il sangue, le fiamme. Tutto ha una fine e un inizio. Accompagna i titoli, il tema musicale con la potente voce di Adele.
Ed eccoci al giro del mondo. Londra grigia e piovosa e l’MI6 attaccata nel suo cuore (M, il capo di Bond, questa volta rischia grosso, la copertura dei suoi agenti operativi è saltata e lei stessa rischia il posto e la vita), Shanghai e uno scontro in cima a un grattacielo con effetti visivi ricchi di citazioni illustri di prepotente suggestione, Macao e il Casino Golden Dragon (con tanto di combattimento nella fossa dei draghi di Komodo), l’isola dove appare per la prima volta il cattivo di turno (e anche qui questa volta si è giocato in grande), di nuovo Londra e infine l’aspro paesaggio scozzese con la magione della famiglia di Bond (“Skyfall” appunto). Le origini, le radici, il passato, di nuovo. Come la minaccia che questa volta emerge proprio dal passato, presentando il conto: il cattivo Javier Bardem, con capigliatura biondo platino, dosa alla perfezione lampi mefistofelici a conflitti irrisolti. E poi quello scontro finale, diverso e inconsueto per un film di 007.
Skyfall è la terza pellicola della “serie Craig” che con Casino Royale e Quantum of Solace completa una trilogia della “rifondazione” di un mito (un po’ come Christopher Nolan, di cui Mendes si è dichiarato debitore, ha fatto con il suo tris dedicato al Cavaliere oscuro). Un personaggio, complice anche l’interpretazione dell’attore inglese, completamente ridisegnato anche nelle sue debolezze e fallibilità. 
Gli attori che circondano Craig sono perfetti: dall’immensa veterana Judi Dench-M, al villain d’eccellenza Bardem, al giovane in ascesa Ben Whishaw-Q, dall’impeccabile Ralph Fiennes, fino al grande vecchio Albert Finney. Le due bellissime sono Naomie Harris, inglese, e Bérénice Marlhoe, metà cambogiana metà francese. Anche nel cast il gioco continua: passato e presente, vecchio e nuovo, tradizione e modernità. I vecchi sistemi sono contrapposti alle nuove tecnologie. L’MI6 qui viene rimessa in discussione nella sue fondamenta (e nei suoi vertici), espropriata dalla sua sede e costretta a trasferirsi nell’ex bunker di Churchill (ecco ancora il passato). Il passato è infine fortemente evocato da oggetti (la mitica Aston Martin DB5 del vecchio 007, un vero coup de theatre) e luoghi (la Scozia dell’infanzia di Bond). Il passato e la sua forza, a dimostrazione del fatto che è necessario voltarsi indietro per andare avanti. Mendes illustra tutto ciò con immagini spettacolari e tecnicamente perfette e con la giusta dose di introspezione dei caratteri.
Una caduta, laggiù in basso, nel profondo, prima del volo, un volo altissimo. Più alto che mai questa volta. Più di così, forse, non si poteva fare.

Elena Bartoni
 

 


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