Il Magico Natale di Rupert – Recensione
Quando nel 2003 uscì al cinema “Il magico natale di Rupert” lo videro davvero in pochi, mal distribuito e schiacciato da colossi come “Gli Incredibili”, “Shrek II” e “Polar Express”, restò in sala il tempo di una fetta di panettone e poi sparì nel limbo delle pellicole dimenticate.
Eppure questo primo lungometraggio di Flavio Moretti meritava forse una sorte migliore.
Se n’è accorta Distribuzione Indipendente, che ad 8 anni dall’uscita del film gli concede una seconda chance riportandolo nelle sale italiane per il periodo natalizio.
E proprio a Natale è ambientato questo fantasy tutto italiano, sospeso in un tempo indefinito, girato completamente in un teatro di posa, con una scenografia (Giuseppe Garau) fiabesca e una fotografia (Pietro Sciortino) accattivante, che punta al cromatismo del cinema americano degli anni ‘50 e ’60.
Rupert (Gianmaria Corolla) è un ragazzotto timido e imbolsito tutto dedito alle merendine e alla televisione; appena possono, i genitori lo parcheggiano dalla nonna, perché questa ha fama di Feldmaresciallo delle SS in grado di estirpare il “vizio” dalla giovane mente del ragazzo.
Salendo in soffitta per far ordine, come ordinatogli dall’anziana generalessa, Rupert si imbatterà nelle strane invenzioni del nonno, scomparso neanche troppo misteriosamente per un “banale” incidente con la macchina del tempo di sua creazione. Il baule ricolmo di stramberie è il vaso di pandora da cui prendono corpo le avventure del protagonista; lupi mannari, alieni e donne nude (di carta) saranno la benzina per questo viaggio di formazione di un bambino impacciato che avrà l’opportunità di crescere tra un’ esperienza da voyeur e una molotov lanciata contro un’astronave aliena. Sempre meglio che davanti la televisione direte voi; lo pensa anche il regista, che al mezzo televisivo lascia lo spazio per siparietti gustosi e divertenti che non celano tuttavia una critica feroce.
Seppur tra limiti evidenti, in primis la debolezza della sceneggiatura e qualche dubbio sulla scelta del protagonista, il film ha il merito di puntare ad un genere e a tecniche come quella della prospettiva forzata che nel cinema italiano non si vedevano da molto. Moretti confeziona un film non tanto per bambini quanto piuttosto per famiglie; i genitori trentenni che lo andranno a vedere, anche se probabilmente finiranno per esser dalla parte degli alieni , sperando che il protagonista, dal volto e dalle movenze spesso odiose, venga incenerito dai laser dei piccoli extraterrestri, ritroveranno mille rimandi e citazioni a film e situazioni della loro adolescenza, dai Gremlins all’universo di Tim Burton, ad una artigianalità, vera o presunta, di un altro cinema.
Daniele Finocchi