Recensione di: Boris – Il film
Serie tv che diventano film, film che diventano serie tv. Può, forse, essere questo il nuovo trend che sta prendendo piede in Italia? Perché no, se questo equivale a sfornare pellicole o serie televisive che hanno, quantomeno, la voglia e la caparbietà di non essere un prodotto scadente (vedi fiction della tv generalista), tanto nei contenuti quanto nella realizzazione. E’ questo il caso di “Boris”, fuoriserie prodotta da Wilder per Fox Italia, che arrivata alla terza stagione, fa quel balzo in avanti necessario e alza un po’ il tiro della questione, trasponendo storie e personaggi al cinema. Se nella serie venivano derisi e ridicolizzati tutti gli aspetti e la “lordura” che circonda la televisione italiana, in questo adattamento per il grande schermo è proprio il cinema a subirne gli attacchi. Renè Ferretti “affermato” regista della soap opera “Occhi del cuore” decide finalmente di voltare pagina, e si trova ad affrontare l’avventura di una produzione cinematografica. Un progetto ambizioso ma pieno di compromessi e imprevisti che lo porta inevitabilmente a rinunciare alla possibilità di un lavoro d’eccellenza, per finire in pasto ai “cinepanettoni”. Niente di più apocalittico se si considera quanto questo epilogo sia, ora più che mai, attinente alla realtà. Ed è proprio questa magnifica concretezza e verità, camuffata qua e là con una risata “farlocca”, ad aver reso, prima la serie e poi il film, una significativa controtendenza per i nostri stanchi occhi di spettatori. Riferimenti a fatti o persone, talmente espliciti e sarcastici, sono relegati ad un livello di demenzialità colta. La derisione, ma nello stesso tempo compassione, nei confronti dei “clienti” dei film di genere “natalizio”, dirigenti Medusa dalle fattezze scimmiesche, attrici “passive” dalla riproduzione vocale ai limiti del mutismo, sceneggiatori che intortano registi e produttori fornendo un meraviglioso assaggio dell’“impepata di cozze”, o amministratori esiliati negli anfratti della polverosa Sezione Cinema (con tanto di pullover e occhialetti alla Gramsci!), sono gli ingredienti di un film di denuncia di una deriva che raggiunge i suoi massimi livelli nell’epilogo, il cui contraltare canoro è affidato alle note di “Pensiero Stupesce”, canzone scritta e interpretata da Elio e le Storie Tese.
Serena Guidoni