Fedele alla linea – Recensione
Dietro un personaggio a tratti enigmatico e controverso, a tratti “spaventosamente” sincero rispetto a delle prese di posizione radicali e delle volte discutibili, c’è sempre un uomo che ha un vissuto, del quale andare più o meno fiero, ma pur sempre una storia che vale la pena raccontare. Il documentario ha lo scopo di mostrare senza giudizio e lasciare allo spettatore il compito di riflettere su ciò che è stato narrato. Germano Maccioni, costruisce un documentario che indaga sugli aspetti più intimi e delicati di un personaggio del panorama musicale italiano, che una volta abbandonate le scene si ritira in una vita semisolitaria, e lo fa entrando in punta di piedi in un privato delle volte piuttosto doloroso.
Giovanni Lindo Ferretti Leader dei CCCP – Fedeli alla linea, e poi dei CSI – Consorzio Suonatori Indipendenti, dopo anni di attività sul palco si ritira a vita privata nelle sue adorate montagne a Cerreto Alpi, sull’Appennino Reggiano, dove alleva cavalli e organizza performance teatrali equestri. Controverso nelle sue manifestazioni di pensiero ma intellettualmente libero, si è distinto anche per delle dichiarazioni forti come l’appoggio alla Lega Nord (recentemente reso noto) e per la sua ritrovata fede cattolica.
Ferretti si dona al regista con sincerità quando percorre il viale dei ricordi che riguardano l’infanzia, ma quando si arriva a parlare del rapporto conflittuale con sua madre, con la quale si è riappacificato solo nell’età adulta, l’artista si rende conto della presenza ingombrante della macchina da presa e decide di non rivelare oltre, con la volontà di conservare gelosamente quel ricordo. Il film è un monologo ininterrotto, non ci sono testimonianze di terzi, è tutto affidato a Ferretti e al suo flusso di coscienza, con un tappeto musicale che naturalmente lo riguarda da vicino.