L’Esorcista – Recensione
Georgetown, inizio anni ’70. Regan, dolce e graziosa figlia undicenne di un’attrice divorziata, inizia ad accusare seri disturbi psichici e comportamentali. La malattia della bambina si evolve in maniera allucinante, poi mostruosa, e i medici sono impotenti. Disperata, la madre riconosce infine possa trattarsi di possessione demoniaca ed accetta di ricorrere a un rituale esorcistico. Ad occuparsene sarà il prete archeologo Lankaster Merrin assieme a Damien Carras, giovane sacerdote caduto in crisi spirituale in seguito alla morte della madre. Quarant’anni or sono lo scrittore Peter Blatty sceneggiò per il grande schermo un suo romanzo, dando vita ad un horror che avrebbe terrorizzato una generazione e tracciando in qualche modo una nuova via per il genere. Il ritorno in sala di questa’opera controversa può suscitare sensazioni contrastanti. Dimentichiamo l’ambiguità tra spiegazione razionale e soprannaturale su cui si è basato il recente e a sua volta memorabile “L’ultimo esorcismo”. In “L’esorcista” il fantastico si presenta come dato di fatto, e deve essere recepito dallo spettatore senza porsi troppe domande riguardo la veridicità delle immagini, ma semmai sul loro significato recondito. La prospettiva di Blatty, come quella del regista William Friedkin, è palesemente cattolica e non mette apertamente in discussione la verità dietro la fede cristiana. Si concentra piuttosto sul senso e sulla difficoltà di portare avanti tale credo in un universo fisico dove gli esseri umani sono assediati dal Male tanto dall’esterno quanto nella propria interiorità. Rimane intatto ancora oggi, non a caso, il conturbante fascino della dimensione descrittiva e psicologica, sottolineato nella prima parte in un crescendo magistrale. Friedkin ci catapulta letteralmente nella mente dei personaggi e nel loro mondo, servendosi di carrellate, primi piani e stacchi di regia fulminanti. E può contare su un cast di tutto rispetto, da una intensa Ellen Burstyn (la madre) a un monumentale Max von Sydow fino alla coinvolgente prova di Jason Miller nei panni di padre Carras. Emerge inoltre il precoce talento della giovanissima Linda Blair, destinata ad una carriera assai più breve di quanto le sue capacità lasciassero sperare. Nel momento in cui la quiete iniziale muta in tempesta di terrore, diventa però chiaro come l’importanza storica di un capostipite debba necessariamente fare i conti con lo scorrere del tempo. Né fa le spese il risvolto prettamente macabro e “shockante” della vicenda, la cui enfasi oscena può ormai apparire risibile più che disturbante. D’altronde certi eccessi visivi e verbali furono aspramente criticati già da alcuni critici dell’epoca, e trascorsero appena due anni prima che il nostro Ciccio Ingrassia desse inizio al giro delle parodie. Il regista ha dichiarato di aver voluto realizzare non un semplice horror, bensì un film “sul mistero della fede”. Le moderne platee possono apprezzare maggiormente gli sforzi nella seconda direzione, e non è necessariamente un demerito.