Five Nights at Freddy’s 2 – La recensione del sequel

Gli anni 2020 verranno ricordati come il decennio in cui gli adattamenti videoludici hanno finalmente trovato la loro strada. In TV, serie come Arcane, Castlevania, The Last of Us e Fallout hanno ridefinito il livello qualitativo del genere. Al cinema, il successo commerciale di Sonic, Super Mario Bros. e Minecraft ha dimostrato che il pubblico è affamato di franchise nati dal gaming.
In questo panorama, Five Nights at Freddy’s resta un’anomalia interessante: nato come indie a micro-budget e diventato fenomeno virale grazie a YouTube, è approdato al cinema con un primo film accolto tiepidamente dalla critica ma amatissimo dal pubblico, al punto da entrare tra i 15 adattamenti videoludici più redditizi della storia, nonostante l’uscita simultanea in streaming su Peacock.
Un successo che ha convinto Blumhouse a produrre rapidamente Five Nights at Freddy’s 2, con più budget, più effetti speciali e un cast più ricco. Ma tutto questo basta a migliorare gli elementi che nel primo capitolo non avevano convinto?
Trama: un nuovo tuffo negli incubi della Freddy Fazbear’s Pizzeria
Il secondo film riparte subito dopo gli eventi del predecessore. Mike Schmidt (Josh Hutcherson), la sorellina Abby (Piper Rubio) e l’alleata Vanessa (Elizabeth Lail) stanno cercando di ricostruire una parvenza di normalità. Ma Abby sente la mancanza degli animatronics “amici” che aveva conosciuto, e presto i tre scopriranno le radici dell’orrore perpetrato da William Afton (Matthew Lillard), tornando alle origini della primissima Freddy Fazbear’s Pizzeria.
Il cuore narrativo resta semplice, forse fin troppo, ma il ritmo è nettamente più dinamico rispetto al primo film.
Animatronics spettacolari… ma sempre poco minacciosi
Il punto di forza del primo FNaF, ovvero l’uso massiccio di animatroni reali, ritorna in tutto il suo splendore: i modelli sono fedelissimi ai videogiochi, dettagliati e perfettamente integrati nella scenografia.
Ma rimane il problema strutturale: sono enormi, lenti, rumorosi. Difficile crederli assassini credibili.
Il risultato ricorda la “Walking Dead syndrome”: creature iconiche, bellissime da vedere, ma raramente spaventose.
I personaggi umani restano il tallone d’Achille
Se gli animatronics funzionano sul piano estetico, lo stesso non si può dire del cast umano.
Mike e Vanessa sono scritti in modo estremamente standard, quasi intercambiabili.
Il comparto secondario però sorprende:
- Megan Fox e Matthew Patrick, nella versione ‘originale’, forniscono interpretazioni vocali difficili da riconoscere;
- Wayne Knight regala un delizioso ritorno ai suoi ruoli da villain anni ’90;
- Skeet Ulrich, in un ruolo piccolo ma incisivo, dona al film un momento sorprendentemente convincente, quasi uno “Steve Buscemi in Spy Kids 2”.
Più spaventoso, più divertente, più efficace del primo
L’aspetto più positivo del sequel è semplice: Five Nights at Freddy’s 2 non è più noioso.
La pellicola abbandona il tono cupo e serioso del primo film e abbraccia finalmente l’anima del franchise, fatta di:
- jump scare a raffica (che fanno parte del DNA del brand)
- sequenza di scene più inquietanti
- humor nero e momenti volutamente assurdi
- effetti speciali più curati
Il risultato non è un capolavoro dell’horror, ma un intrattenimento solido e consapevole del proprio pubblico.
Un sequel che corregge la rotta e prepara la strada a un terzo capitolo
Non siamo davanti a un caso Annabelle: Creation o Ouija: Origin of Evil, che ribaltarono totalmente le sorti delle rispettive saghe. Ma Five Nights at Freddy’s 2 compie un passo importante: migliora praticamente tutto ciò che nel primo film non funzionava.
- I fan saranno più soddisfatti.
- I non-fan troveranno un robot-slasher godibile e decisamente più divertente.
- La saga, finalmente, sembra aver trovato una direzione chiara.
E se Blumhouse continuerà a costruire su questa crescita, tornare ancora una volta alla Freddy Fazbear’s Pizzeria non sarà affatto un incubo… almeno per gli spettatori.




